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Musica Sacra, a che punto siamo?

Canto sacro - Corsi accademici
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Musica Sacra, a che punto siamo?

Il recente evento dell’incoronazione a re d’Inghilterra di Carlo III e del corposo programma musicale destinato a questo antichissimo rito, seguito da quattro miliardi di spettatori che ne hanno ammirato la precisione e l’ordine, la bellezza e anche la semplicità di gesti ripetuti decine di volte nei secoli, ha riacceso in me l’interrogativo: nella Chiesa cattolica italiana oggi a che punto siamo? O forse dovrei chiedermi: dove siamo rimasti?

Lo status quæstionis

Scorrendo il materiale degli ultimi anni ho constatato che nel dibattito pubblico – ma anche tra addetti ai lavori – non c’è stato un particolare fermento.

Ogni tanto riemerge la questione sul rapporto tra musica e liturgia, talvolta in forma di riflessioni legate al mondo degli esperti; altre volte, con taglio più divulgativo, come il tentativo di ridare linfa a una pratica perlopiù stagnante, salvo rari casi.

Di questa seconda impostazione ne è prova un numero della rivista «Vita Pastorale» (n° 2 febbraio 2016) che ha dedicato un dossier su Cantare la liturgia, lodevole sforzo di ben 17 pagine per ricentrare e ravvivare la questione del canto liturgico sotto diversi profili: storico, liturgico, pastorale, formativo, nonostante i contenuti non si siano discostati molto dalle consuete presentazioni del tema a cui siamo abituati da cinquant’anni a questa parte.

Per carità, nulla di male ribadire i principi, è noto che repetita iuvant, ma si avverte l’imbarazzo nel tentativo di sviluppare un pensiero ulteriore che oltrepassi i tabù di chi non osa intervenire concretamente per rendere realmente canto la liturgia.

Ancora, nella rubrica Agorà di «Avvenire» del 17 marzo 2016 l’articolo Musica e liturgia, il tempo della rinascita sembra presagire, a detta della triade intervistata Piquè i Collado – De Gregorio – Frisina, un tempo di nuova linfa nel rapporto musica/liturgia, prontamente smentito dallo scoccare del lockdown pandemico nel 2020, che di fatto ha azzerato le compagini corali parrocchiali e non, già provate dall’avanzare in età di molti componenti e del conseguente difficile ricambio generazionale.

Di taglio decisamente diverso è il numero 1 di «Rivista liturgica» del 2018 che dedica alla tematica Musica e liturgia: tra sacro e profano un’edizione monografica sull’argomento, con diversi articoli e approfondimenti per nulla scontati e di profonda intelligenza, rimanendo tuttavia più legato alla realtà degli esperti che non alla divulgazione parrocchiale media.

Nel 2021 compare il pregevole libro-provocazione Una musica tutta per sé. La musica sacra non esiste di don Luigi Garbini, che rilancia con acume il problema, seguito nel 2022 dalla pubblicazione dello stesso autore per il centocinquantenario perosiano Lorenzo Perosi. Tutti, o quasi, i malintesi raccolti attorno a un nome. Seguirà a breve la pubblicazione del libro per il decimo anniversario della morte di mons. Migliavacca che sarà senz’altro all’altezza dei precedenti.

Qualcosa si muove?

A parte quanto sopra citato si trova poco o nulla d’altro sull’argomento, almeno per quel che mi è capitato tra le mani, se si eccettua il tentativo suscitato dalla lettera dell’arcivescovo di Milano mons. Delpini per la festa di santa Cecilia 2021.

Qui si rivolge a coloro che si occupano della musica nelle celebrazioni, citando peraltro i lodevoli tentativi di don Riccardo Miolo di offrire formazione pratica sul territorio diocesano con l’esperienza della scuola Te Laudamus, ma anche la presenza significativa del Piams.

Tale lettera, tuttavia, non ha prodotto che un veloce dibattito pubblicato sul sito internet della Diocesi di Milano tra Guido Meregalli e suor Elena Massimi, senza dare un vero apporto alla revisione critica delle attuali prassi (Meregalli: tutta un’altra musica e La musica sacra “è” liturgia).

L’interrogativo che ci si pone è come gli Uffici liturgici diocesani italiani cerchino di indirizzare a una seria e decisa formazione coloro che fattivamente operano nei contesti parrocchiali, legati perlopiù a buona volontà che ad effettive capacità e conoscenze musicali e liturgiche.

Sicuramente ci saranno delle eccezioni lodevoli che però, senza un efficace coordinamento, non possono con le sole proprie forze cambiare la situazione.

Canto sacro - Corsi accademici

Il Magistero recente

A livello di Magistero pontificio la lettera apostolica Desiderio desideravi del 29 giugno 2022, con l’onorevole intenzione di “offrire alcuni spunti di riflessione per contemplare la bellezza e la verità del celebrare cristiano” (n°1), non lascia spazio al tema della musica sacra con l’intento, forse sotteso, di rimandare a quanto già abbondantemente affermato nel Magistero precedente senza aggiungere niente di nuovo.

Tuttavia, a mio parere, anche un richiamo esplicito alla musica sacra nel contesto assai vibrante della lettera avrebbe ridato linfa al dibattito e alla prassi.

Segnalo a proposito la recente riflessione di mons. Pierangelo Sequeri (Desiderio desideravi) che, in un incontro dedicato alla liturgia a partire dalla lettera Desiderio desideravi, ha sottolineato in sintesi come la bellezza stessa della liturgia apre alla coscienza dell’azione salvifica del Signore Gesù a coloro che vi partecipano.

Ripartire da qui è condizione necessaria perché anche l’espressione musicale rituale possa davvero esprimere pienamente questa realtà.

Infine, nella recente riedizione del Messale Romano Italiano nel 2020, si è tentato di dare nuovo risalto al canto dei ministri, sia con la cospicua presenza di notazione musicale sia nella presentazione dello stesso e nei prænotanda, stentando tuttavia ancora a vederne (udirne) la pratica.

Musica in Chiesa – musica a scuola

La liturgia rinnovata nel post-Vaticano II fatica nella consuetudine ad assumere i criteri, per altro definiti e ribaditi sia dallo stesso Concilio sia dai documenti posteriori a ciò dedicati, affinché mens concordet voci.

La regolare pratica della musica sacra si muove nelle realtà parrocchiali, soprattutto italiane, su ben altri principi e impostazioni.

La prassi ormai consolidata vede la liturgia come il grande contenitore che mette a disposizione spazi dedicati a momenti musicali, un po’ come gli stacchetti e le sigle di programmi tv e pubblicità: l’introito è la sigla iniziale del gran varietà religioso della domenica, liturgia della Parola e liturgia eucaristica si susseguono in uno scorrere alternante di parola/canto fino a giungere al momento conclusivo, la sigla finale, che chiude lo spettacolo.

L’ambiente ecclesiale respira, in effetti, la stessa fatica che la percezione culturale musicale (e artistica in generale) di un paese come l’Italia ha relegato ormai da decenni in ambito scolastico come materia di serie B, considerata alla stregua di un riempitivo orario nei tre anni delle scuole medie inferiori.

Questo ha portato gli studenti, nella stragrande maggioranza dei casi, a cercare di barcamenarsi per raggiungere onorevolmente la sufficienza, imparando a memoria brani con flauto/chitarra/tastiera e dimostrando di “saper suonare” con il dito indice sulla tastiera Fra Martino, o – per i più dotati – la Für Elise.

“Perché sprecare tempo a insegnargli a cantare quando nel migliore dei casi i ragazzi ascoltano e praticano rap e trap, che di tecnica vocale non hanno nulla?” si domandano scoraggiati i docenti di musica.

Riflettere sul fatto che l’Italia è (stata?) il paese del bel canto e di una schiera di musicisti illustri e di autori che sono stati invidiati e studiati in tutto il mondo, primi fra tutti dal sommo Bach, non sembra convincere a sufficienza a investire nella formazione musicale e artistica dei nostri giovani.

Invece è proprio a partire da questo punto che si potrà ribaltare la situazione, ovvero facendo leva su un terreno ancora fertile e disponibile a una formazione di qualità. I social media dimostrano quanto i giovani siano attenti alla realtà musicale, anche classica e perfino liturgica, ed è perciò indicativo di un lavoro irrimandabile.

L’impostazione alla vocalità, la teoria musicale di base e soprattutto l’esperienza corale possono ridestare nei giovani e nei meno giovani l’attenzione e la consuetudine con una dimensione ormai non più scontata, ma sempre valida nella pedagogia sociale ed ecclesiale.

Teoria ritmica e percezione musicale - Corsi liberi

Conclusioni

Ciò detto, le liturgie parrocchiali medie non possono che riflettere attualmente questo quadro: perché in chiesa si dovrebbe sentire un canto diverso, un “canto nuovo” (cf. Ap 5,9) che apra alla struggente bellezza dell’incontro con Cristo nella Sua Chiesa che lo celebra come il Risorto, Colui che viene sempre e nuovamente rende presente sé stesso nelle specie del pane e del vino?

È normale che in tale contesto nemmeno i ministri sacri si sentano spronati a cantare le parti loro proprie, come prescrive il Concilio, perché da molti viene interpretato come l’assumere atteggiamenti di protagonismo oppure allungare in maniera indebita la liturgia, senza forse riflettere che è meglio lasciarle lo spazio dovuto piuttosto che dedicarlo alle pur interessanti omelie che, tuttavia, nulla possono aggiungere all’azione salvifica di Cristo; e così si finisce per rendere piatto e trascurato il mistero più grande che la nostra vita possa ricevere.

La riscoperta di una dimensione celebrativa bella-e-buona è urgente compito che si dischiude per tutti i fedeli e per chi li presiede, perché anche nella musica risplenda il volto del Signore e la risposta accorata dei credenti che grida e contempla: maranatha! Vieni Signore Gesù!