Luigi Molfino
Luglio 4, 2022 2022-09-28 10:32Luigi Molfino
Musicista e compositore liturgico
Questo articolo è una panoramica sulla produzione per coro di Luigi Molfino che, in modo conciso, ne delinea gli aspetti più salienti e caratteristici. Vuole inoltre essere un nuovo punto di partenza, prendendo spunto dalla tesi del 1995 per una futura analisi, più approfondita e organica, sulla figura di Luigi Molfino come compositore e musicista liturgico.
Nella prima parte mi soffermerò dunque sulla sua idea musicale-liturgica e, conseguentemente, su come questa si sia imposta o meno nel panorama liturgico dei nostri giorni; a dimostrazione esemplificativa della sua poetica analizzerò due esempi appartenenti ai due macro-gruppi in cui possiamo suddividere le sue composizioni: la produzione ‘popolare’ e la produzione ‘colta’.
Nella seconda parte invece si vedrà un primo elenco ragionato delle sue composizioni per coro. L’elenco, tuttavia, è ancora parziale, pertanto vengono messe in evidenza alcune avvertenze e criticità che non mi è stato possibile verificare.
La poetica musicale-liturgica
Luigi Molfino (1916-2012) è stato sicuramente un importante musicista – organista e direttore di coro – e compositore nel panorama della musica liturgica milanese, sebbene sia stato anche insegnante titolare di organo al conservatorio di Milano. Rilevante risulta questo dato biografico poiché una buona parte dei suoi allievi, dopo gli studi, hanno iniziato un’attività musicale-liturgica, ma soprattutto perché è attraverso l’insegnamento che ha lasciato ai suoi allievi, nei suoi pregi e nei suoi difetti, la musica liturgica e il suo modo di concepirla. Infatti era proprio durante le ore di lezione che Molfino esponeva le sue idee ai suoi allievi.
Il carattere amorevole ma allo stesso tempo intransigente e severo – ed è forse stato questo il suo limite come si vedrà poi – influenzò molto le sue scelte e le sue prese di posizione. Pur non travalicando l’aspetto accademico, Molfino nelle sue lezioni parlava spesso ai suoi allievi delle vicissitudini e degli scontri che aveva coi sacerdoti sulla musica liturgica. A tal proposito infatti alcuni dei suoi allievi, che ho potuto intervistare e che ringrazio per la massima disponibilità, testimoniano come molte volte Molfino si presentasse criticando le scelte musicali di alcuni sacerdoti o alcune composizioni di musicisti contemporanei talvolta anche amici. Un aneddoto ricordato dai suoi allievi, a tal proposito, riguarda le critiche nei confronti delle composizioni di mons. Luciano Migliavacca che uscivano dall’ambito tonale. Dai suoi allievi infatti viene ricordato come un grande maestro con una conoscenza magistrale dell’armonia e del contrappunto ma diffidente nei confronti delle espressioni contemporanee più avanzate, da lui considerate inadatte alla musica sacra. Molfino infatti, seppur mai in modo esplicito, era promotore in un certo qual modo della cosiddetta armonia della scuola Romana, da intendere anche come legame alla sonorità e spiritualità gregoriana, testimoniato dalla sua grande fede. Non è possibile però classificare pienamente il suo pensiero in un ambito, poiché la sua era una visione personale e non pienamente classificabile in etichette. Totalmente ceciliana l’idea di non accettare l’introduzione dei canti dei movimenti ecclesiali all’interno del repertorio liturgico delle celebrazioni.
Molfino, nell’arco della sua vita non ha composto un numero così significativo di opere – come invece fecero altri musicisti suoi contemporanei, esempio fra tutti mons. Luciano Migliavacca – ma tutte significative per comprendere la sua poetica musicale-liturgica. Poetica che non va scissa dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, che come noto rinnovò il modo di celebrare, e che Molfino abbracciò, almeno sicuramente nell’ultima fase della sua produzione. Sostengo questo poiché le testimonianze a tal proposito sono discordanti. Da quello che si può dedurre, se agli albori del Concilio Molfino non sembrava molto convinto, successivamente cambiò posizione: e una testimonianza forte di questa svolta è data dalla sua produzione di canti dove è prevista la partecipazione assembleare. A detta dei suoi allievi Molfino non produceva musica se non credeva veramente in ciò che stava scrivendo; e questo è un aspetto che supporta questa mia tesi. Infatti Molfino, nella sua produzione più recente, fu propenso a utilizzare anche in musica il dialogo Assemblea/Schola. Questa sua idea di coralità però, dove appunto l’assemblea e la schola hanno due funzioni diverse ma di pari importanza, non attecchì mai, forse perché era una visione troppo avanti rispetto al presente dove si faceva fatica ad attuare il cambiamento – testimonianza ne è il fatto che ancora oggi, dopo sessant’anni le idee del Concilio Vaticano II sono spesso fraintese e non applicate -. Tale fermezza, che non lo faceva scendere per nessuna ragione a compromessi, lo portò ad essere ‘isolato’ e senza la possibilità di poter cambiare le cose dall’interno. A tal proposito è significativo un altro ricordo: Molfino stesso sosteneva che in quanto laico non avrebbe mai potuto avere davvero voce in capitolo riguardo alla musica liturgica. Una testimonianza della sua fermezza che, detto a posteriori, non lo aiutò sicuramente a portare avanti la sua idea di cambiamento.
Un aspetto di Molfino che ho già citato sopra, che non riguarda prettamente la musica liturgica, ma che merita comunque una sottolineatura maggiore, è la sua vocazione all’insegnamento. Si può dire suoi allievi erano la sua seconda famiglia, e l’affetto che Molfino provava nei loro confronti era totalmente ricambiato. Tale passione all’insegnamento è anche visibile nelle sue composizioni per la scuola (Lieti Cantiamo, Edizioni Curci) e in un certo qual modo anche per le molteplici composizioni di carattere non liturgico. In questa produzione, rivolta a bambini e ragazzi di tutte le età, si riscontra la sua autentica dedizione all’educare attraverso la musica. Una dedizione testimoniata anche dai suoi allievi e che fa dire che davvero l’insegnamento era la sua missione (e abbiamo visto che, attraverso di essa, passava anche l’insegnamento per la musica liturgica che lui reputava ‘bella’).
La sua produzione “popolare”
Come già accennato nell’introduzione, le sue composizioni si possono dividere in due macro-gruppi. Nel primo si possono inserire tutte le sue revisioni e armonizzazioni di canti liturgici ormai diventati popolari e le composizioni rivolte ai cori parrocchiali. Essendo questi una realtà eterogenea dove la qualità varia da parrocchia a parrocchia, Molfino ha rielaborato molte sue composizione adattandole per diversi organici; i più usati sono le 2 voci pari e le 4 voci dispari, in modo che il canto potesse avere maggior diffusione. Le armonizzazioni dei canti ormai divenuti popolari invece sono molto interessanti poiché, utilizzando la melodia, ne costruisce un accompagnamento armonicamente ricercato che da un lato rende ‘nuova’ e interessante la melodia conosciuta dall’altro portava ‘dignità’ alla parte dell’organo che non era più relegata a semplice e banale accompagnamento.
A tal proposito si prende in considerazione la sua armonizzazione del canto ‘‘Parole di Vita’’. E per far ciò partiamo dall’armonizzazione originale di Sequeri, compositore di questo canto.
Nell’armonizzazione originale, per coro a 4 voci dispari con raddoppio dell’organo, troviamo un armonia molto semplice e ridotta all’essenziale:
-
non sono infatti presenti modulazione transitorie – L’unica armonia ‘più complessa’ è presente a b. 7 dove è utilizzata la Dominante della Dominante e dove anche la conduzione delle parti prevede l’utilizzo di note di passaggio –
-
È presente a b. 4 un utilizzo insolito del III grado ma che all’ascolto non si percepisce come ‘insolito’ e ‘ardito’
Molfino invece concepisce il canto per sola voce assembleare con l’accompagnamento di organo; un accompagnamento molto più interessante che lo rende significativo nei confronti del canto.
La tonalità di impianto è Do maggiore, ma il primo accordo che si sente è il VI grado – accordo sempre appartenente al gruppo di Tonica ma molto più debole -. Da qui seguono una serie di appoggiature (evidenziate in rosso) e di note di passaggio (evidenziate in verde) che rendono movimentata l’armonia per concludere però, come nell’originale, con una cadenza sospesa (sul V grado). Pur rimanendo sempre nell’impianto tonale classico (le tonalità toccate infatti sono state la sottodominante – b. 5-6 – e poco prima c’è stato l’utilizzo della Dominante della Dominante – VII7 del V a b. 3 -) all’orecchio è sicuramente un’accompagnamento più interessante, che dà meno sicurezze a chi canta (e che quindi sottintende una maggior competenza anche in questo). Da b. 9, dove si ha per la prima volta una chiara affermazione del Do maggiore, si inizia una concatenazione di Dominante secondarie che porta il brano alla conclusione con una triplice appoggiatura sull’accordo finale.
Da questo esempio si vede la padronanza di Molfino nell’armonia con la capacità di rendere interessanti anche le melodie più semplici. I suoi allievi ricordano – ma senza prove certe – il suo desiderio di rivedere e riscrivere alcune armonizzazioni del Cantemus Domino (libro del repertorio di canto della Chiesa ambrosiana). Di questo non si ha traccia, ma, sicuramente, visto questo esempio, sarebbe stato un autentico rinnovamento della musica liturgica esistente.
La sua produzione “colta”
Considerata invece in prospettiva diametralmente opposta rispetto alla produzione analizzata sopra, abbiamo la produzione corale ‘colta’, rivolta ovviamente non più all’ambiente eterogeneo delle corali parrocchiali ma a compagini corali ben strutturate e preparate anche sotto l’aspetto musicale. Esempio maggiore di queste opere sono i mottetti per solo coro composte nell’arco della sua vita. Sono in numero molto ristretto, ma in essi si può davvero trovare tutta la sua visione armonica: ricercata pur rimanendo in ambito tonale, elegante in tutte le sue modulazioni, dove traspare una vera e propria aderenza della musica con il testo cantato che è prima di tutto preghiera.
Poniamo la nostra attenzione sull’Haec Dies, mottetto a 4 voci dispari composto nel 1969, che può essere preso come modello per analizzare questa sua produzione per quanto ogni mottetto abbia le sue peculiarità.
Il testo è innanzitutto opera di centonizzazione:
– il ritornello del Graduale dell’ottava di Pasqua (Haec dies quam fecit Dominus: exultemus et letemur in ea, alleluia)
– il Responsorio della liturgia delle ore della Feria IV di Pasqua (Expurgate vetus fermentum, ut sitis nova conspersio; etenim Pascha nostrum immolatus est Christus; itaque epulemur in Domino, alleluia).
Haec dies quam fecit Dominus: Expurgate vetus fermentum, |
Questo è il giorno che ha fatto il Signore: Eliminate il vecchio lievito, |
Musicalmente, il mottetto, è invece divisibile in cinque parti:
PARTE |
INDICAZIONE AGOGICA |
NUMERO DI BATTUTE |
TESTO CORRISPONDENTE |
A |
Solenne |
1 – 4 |
Haec dies quam fecit Dominus: |
B |
Allegro giusto |
5 – 15 |
exultemus et letemur in ea, |
C |
(arioso) |
16 – 23 |
alleluia. |
D |
Andante calmo |
24 (levare) – 53 |
Expurgate vetus fermentum, |
E |
A tempo |
54 – 70 |
alleluia. |
Nelle prime 4 battute, si possono notare due particolarità che avvicinano questo mottetto ad una matrice gregoriana: la mancanza dell’indicazione di tempo iniziale (con la conseguente commistura di battute con diversa misura per far prevalere l’accento del testo) ma ancor di più l’ambito gregorianao appartenente al Protus, con l’utilizzo però della sottotonica al posto della sensibile.
La scelta del modo gregoriano, molto caro a Molfino e riscontrabile in molte sue composizioni, ha la finalità di conferire solennità e regalità al brano.
La partenza all’unisono, appartenente chiaramente alla scala di Protus (con partenza Fa), in forte, rende ‘fragorosa’ la parola; è infatti questa la frase più importante ed esplicativa che sottolinea anche la novità e l’unicità dell’evento: questo è il giorno fatto dal Signore.
La seconda sezione invece è caratterizzata dalle parole «exultemus et letemur». Questa gioia, che scaturisce dall’annuncio precedente, è resa musicalmente da un lato con un due ottavi appoggiati – evidenziati in verde – e dall’altro con una terzina – evidenziata in rosso -.
Questo accostamento risulta musicalmente interessante poiché crea incisività e allo stesso tempo fluidità rendendo così questa sezione nobile e austera; fluidità che è data anche da un movimento armonico più complesso ma che rimane sempre in un clima arcaicizzante.
Nella terza sezione – sezione che in realtà potrebbe essere legata alla precedente ma per motivi di comprensione mi è più comodo staccare -, dominata esclusivamente dalla parola ‘alleluia’, Molfino vuole rievocare, seppur in pochissime battute, lo jubilus gregoriano, melisma che si creava proprio sull’ultima sillaba di questa parola. Nel nostro caso questo effetto è dato dalla commistione di varie cellule ritmiche che riprendono le figurazione già utilizzate nella sezione precedente.
Questa sezione si chiude con una cadenza a Do maggiore che però non ricorda la cadenza perfetta dell’armonia tradizionale, ma rievoca ancora una volta in questo brano quell’afflato gregoriano – dato dall’utilizzo della sottotonica -, tanto caro a Molfino e che ribadisce la sua forte spiritualità e fede legata a quell’ambito.
La quarta sezione invece, come si può vedere dallo schema sopra, è quella più lunga in numero di battute e anche quella dove si possono riscontrare spunti armonici che verificano quanto detto sopra sul suo linguaggio. Primo aspetto è, a battuta 26, un passaggio enarmonico scritto per esteso.
Potrebbe essere un passaggio superfluo visto che tutte le voci sono enarmonicamente sulla nota precedente. Questo però, nell’ottica dell’idea di Molfino dove l’armonia doveva essere tutta giustificata in un impianto tonale, assume un’importanza sostanziale. Pur rimanendo nell’ambito della tonalità inoltre, questa sezione è caratterizzata da continui passaggi cromatici che all’orecchio rendono comunque incomprensibile la tonalità di impianto. É inoltre presente a metà sezione una cadenza che, utilizzando ancora una volta la sottotonica, rievoca quelle precedenti.
Proseguendo verso la conclusione del brano, sempre in questa sezione D ricompaiono le terzine, che a seconda del movimento melodico creano incisività (etenim) o morbidezza (epule) e l’incisività del susseguirsi, in questo caso, di sedicesimi, creando così un accelerazione ritmica che ha la funzione di preparare qualcosa – l’alleluia finale.
Nell’ultima sezione, quella conclusiva, ritorna l’idea dell’Alleluia della sezione C ma più allargata in numero di battutte. Da notare però lo stesso incipit
Infine c’è la ripresa della melodia della prima battuta (su un diverso grado) per esporre la coda dell’Alleluia.
Per poi concludere con questa indicazione Grandioso utilizzando, come nelle cadenze di tutto questo brano, la sottotonica.
Conclusioni
Con queste due brevi analisi, che avevano lo scopo di esemplificare le considerazioni fatte nella prima parte, si è cercato di mettere in luce soprattutto la correlazione tra la grandissima fede di Molfino e la sua capacità di concentrarla in brani intrisi, come abbiamo potuto vedere, di significati che dal musicale passano all’extra-musicale; un extra-musicale totalmente legato alla parola della fede Cattolica.
Mi piace, in conclusione a questo articolo, ricordare un brevissimo passo dell’omelia pronunciata in occasione del suo funerale da don Giorgio Begni, suo allievo, trovata a conclusione dell’articolo scritto dal m. Pietro Ferrario. Davvero credo possa riassumere in una frase e poco più tutta la personalità di Molfino raccontatami dai suoi allievi.
‘‘Le persone valgono non per il baccano che fanno o per il tumulto che producono ma per il profumo che diffondono (cfr 2Cor 2,14s). E che le idee valgono non per quel che rendono, ma per quel che costano.’’