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Il movimento Ceciliano nel panorama del Singbewegung

Il movimento Ceciliano nel panorama del Singbewegung
Alunni

Il movimento Ceciliano nel panorama del Singbewegung

Un esempio di coralità moderna

Il movimento ceciliano nel panorama ottocentesco del singbewegung è un esempio peculiare dell’idea di coralità moderna. Se da un lato il movimento ceciliano nasce in ambito esclusivamente liturgico con lo scopo principale di restaurare la bellezza della musica antica dall’altro ha però al suo interno idee post-illuministe ed elementi del valore culturale e artistico che si diede alla coralità a partire proprio dal XIX secolo. 

In questo articolo, che non vuole essere esaustivo dato l’argomento così ampio e poco approfondito nella Storia della Musica, contestualizzerò il singbewegung e il movimento ceciliano anche con lo scopo di trasmettere l’importanza della pratica corale, che va oltre a quello che è strettamente l’ambito di appartenenza e che oggi purtroppo si sta sempre più perdendo. 

Il Singbewegung

Il Singbewegung (movimento corale tedesco) è uno dei punti significativi dello sviluppo del movimento corale dell’epoca moderna, nel quale sono presenti diverse forme associative come le Singvereine e le Singakademien. In esse si racchiudono i generi più diversi: dagli oratori, sulla scia di Bach e Haendel, alla musica corale a cappella, sulla scia di Palestrina. Vengono inoltre sperimentati diversi organici corali: voci miste, voci maschili e voci femminili.

Origini storiche del movimento e ideali di riferimento 

Le origini di questo movimento vanno ricercate non nel XIX secolo, ma in quello precedente. Nel XVIII secolo, infatti, in Germania ma non solo, si osserva un chiaro ritorno all’interesse per la musica ecclesiastica, che costituiva il corpo principale della musica corale. Questo interesse, affiancato agli ideali illuministici, fa nascere e crescere l’interesse anche per il canto corale profano, un nuovo sottogenere musicale che vuole prendere le distanze dagli ambienti ecclesiastici. La svolta decisiva che dà vita all’idea di coralità moderna, e che segna una rottura netta col passato, non è appunto l’interesse per la coralità, ecclesiastica o profana che sia, ma il nuovo significato che gli viene attribuita. Il canto corale diventa un elemento della formazione del popolo, intriso quindi di un significato umanistico-idealistico, e portatore di valori morali. Naturale conseguenza di questa idea è l’ampliamento dell’attività corale a livello dilettantistico; una pratica però che non viene imposta dall’alto ma che nasce spontaneamente tra la popolazione. Nascono così nelle città e nei villaggi cori di borghesi e società corali sostenute dal piacere di ritrovarsi e cantare con entusiasmo. 

Il primissimo compositore che coinvolge le allora neonate società corali e che aiuta la crescita della nuova idea di coralità fu Haydn, col suo oratorio “Le Stagioni”. Se da un punto di vista musicale l’opera è paragonabile a quelle di Haendel e di Bach, la grandissima novità fu il tema trattato: popolare e profano. 

Con l’impulso di Haydn, il XIX secolo vede il fiorire e l’espandersi di questo nuovo ideale, non solo nell’aspetto pratico ma anche in quello più riflessivo-filosofico. Il pedagogo musicale e editore Hans Georg Nageli, che fu un padre fondatore della nuova idea di coralità, scrive, a tal proposito, nel suo libro “La formazione del canto di Pestalozzi” del 1809: 

L’età della musica comincia esattamente quando l’arte non viene esercitata solamente dalle persone che hanno un’abilità specifica ma diventa proprietà del popolo, della nazione anzi dell’intera comunità europea, comincia quando l’umanità viene inserita essa stessa nella musica. Ciò diventa possibile solo se si coltiva il canto corale. Prendete schiere di uomini, prendeteli a centinaia e a migliaia e cercate di coinvolgerli in un’azione umana reciproca, in azioni nelle quali il singolo abbia modo di esternare la propria personalità sia come sentimento singolo che come espressione collettiva, come l’espressione della parola collettiva, diventi consapevole sia della propria indipendenza che della propria interdipendenza dagli altri in modo intuitivo, nelle quali allo stesso tempo abbia modo di espirare ed ispirare amore dell’atto del respiro, questo avviene solamente nel canto corale. 

In questa citazione però, si può intravedere come, l’idea illuministica esposta prima si fonde con l’idea romantica che è propria del XIX secolo. Entra infatti in gioco l’idea di arte e l’idea di sentimento, principi fondanti del Romanticismo nascente; e poiché il movimento corale è espressione del Romanticismo musicale anche nei contenuti, soprattutto in area tedesca, c’è un progressivo sviluppo della musica corale a cappella, dimenticata dallo sfarzoso Barocco, dove questi temi vengono affrontati nei testi. E questo circolo virtuoso si alimenta per tutto il secolo e oltre: la nascita di gruppi corali dà modo ai compositori di sperimentare nuove vie che a loro volta alimentano la crescita di nuovi gruppi corali. Infine, sempre scaturito dal Romanticismo, il patriottismo è legato a queste associazioni ed è motore della loro stessa nascita ed espansione, soprattutto per quanto riguarda la tradizione del canto popolare. 

Un altro aspetto fondamentale che le società corali hanno indotto nella mentalità della società è l’emancipazione della donna. Un’emancipazione che significa pari dignità e importanza, poiché nel coro ognuno partecipa con la propria voce ma mantenendo diversità rispetto alle altre. In quest’ottica di novità si sviluppano non solo cori di sole voci femminili ma anche a voci miste, ricercando così una sonorità nuova per l’epoca. 

Le società corali inoltre portarono all’introduzione dell’educazione alla pratica musicale in chiese e scuole. A tal proposito è utile definire il vero significato del termine “dilettantismo” usato sopra. Esso è da intendersi infatti come “attività per diletto” opposta alla professione, e ciò non toglie quindi la preparazione che ognuno può o deve avere; e, a parer mio, l’introduzione dell’educazione musicale sia nelle chiese che nelle scuole è dovuta a questa nuova visione. 

I protagonisti del Singbewegung 

Come già detto nel paragrafo precedente, protagonista di questo fenomeno dal punto di vista teorico è Hans Georg Nageli. Sono però molteplici i musicisti che hanno favorito nella quotidianità e nella pratica lo sviluppo delle società corali. Non volendo fare una carrellata di nomi analizzerò in breve l’opera di alcuni musicisti sottolineando l’aspetto che li caratterizza nell’evoluzione di questo nuovo fenomeno socioculturale. 

Carl Friedrich Zelter, nato a Berlino nel 1758, è sicuramente un musicista di rilievo in questo panorama poiché è grazie ai suoi sforzi che si devono le basi dell’educazione musicale sopra citata. Inoltre, dopo che nel 1800 assunse la direzione del Coro ribattezzato “Accademia di Canto”, diede un forte impulso alla riscoperta della musica ecclesiastica – quindi prettamente corale – particolarmente di Bach. Fu inoltre un faro per tutte le accademie nascenti di canto e società ceciliane (che affronteremo nello specifico successivamente), le quali naturalmente si occupavano principalmente della letteratura corale ecclesiastica del passato e degli oratori del presente. Dobbiamo a lui il “Bundeslied”, ovvero l’inno di tutti i cori maschili tedeschi 

Ludwig Spohr invece è da ricordare nello specifico poiché ha avuto un ruolo nella riscoperta del contrappunto vocale del ‘500 italiano, volta non alla mera conoscenza ed esecuzione di questo repertorio ma alla sua rielaborazione, tenendo lo stile del passato aggiornato e ampliato con l’armonia sua coeva. Spohr è ricordato anche per la fondazione di un proprio coro, la società Ceciliana, con lo scopo di combattere il decadimento del gusto: questo naturalmente da raggiungere attraverso il canto corale e comunitario. Di questo compositore è bene ricordare la Messa a 10 voci del 1821. L’armonia di questa composizione, infatti, sembra anticipare lo stile multiforme del tardo Romanticismo allontanandosi così di molto dallo stile di ispirazione. Lo stesso Spohr scrive: 

La mia Messa a 10 voci intanto era stata completata e avevo un gran voglia di sentire che effetto facesse. È chiara l’intenzione di fare un viaggio a Dresda e di dare un concerto a Lipsia per la qual cosa avevo bisogno di un lungo soggiorno in quelle città, mi venne l’idea di far cantare la Messa, durante il mio soggiorno, dalla locale società corale della quale conoscevo il direttore. […] Le prove erano cominciate tuttavia l’opera era stata trovata così enormemente difficile e si era riusciti tanto poco a farvi chiarezza che il direttore si rifiutò energicamente di continuare nelle prove. […] Credetti di avere scritto un’opera riuscita male e quindi mi rassegnai a non sentire più nulla. […] In questo [l’esecuzione della Messa] ebbi successo poiché non persi la pazienza, poiché i cantori furono instancabili e la Messa intera senza tagli fu eseguita. 

In questo breve estratto si può intuire la storia di questa Messa così impegnativa. Importante però è la riflessione a cui arriva Spohr e che testimonia la ricerca di un nuovo stile che non sia una copia dei precedenti. 

L’esperienza che feci durante questo lavoro mi insegnò a evitare nelle future composizioni corali senza accompagnamento strumentale le modulazioni troppo ricche e le successioni accordali difficili 

Anche Felix Mendelssohn e Johannes Brahms, oltre che compositori di musica corale romantica furono direttori di queste società. 

Johannes Brahms, però, va ricordato in particolar modo per l’impulso che diede nella costituzione di cori femminili indipendenti, che va nell’ottica dell’emancipazione della figura femminile di cui abbiamo trattato sopra.  

Di Felix Mendelssohn invece è importante una lettera che scrisse a sua madre, e che qui riporto, dove si può riscontrare l’unione tra natura e canto, che ho sopra espresso come novità dell’idea romantica: 

Un quarto d’ora dal cammino dentro profondamente nel bosco dove si trovano alti e fitti faggi, i quali formano un grande tetto in alto, e dove il bosco tutt’intorno verde stringe i propri rami, questo era il luogo. Su un piccolo sentiero bisognava farsi strada attraverso gli arbusti, e non appena si arrivava nel luogo si vedevano in lontananza le molte figure bianche di una cornice di alberi le quali erano agghindate con corone di fiori e le quali rappresentavano la sala da concerto. Com’era piacevole il canto, come trillavano chiare nell’aria le voci dei soprani, quale fusione e quale splendore avessero tutti i suoni, come tutto fosse così silenzioso e segreto e tuttavia cos’ chiaro questo non me lo sarei mai immaginato. Si trattava di un coro di circa 20 buone voci, […] Non appena alla sera si riunivano sotto gli alberi e intonavano il mio primo Lied questo aveva un effetto meraviglioso nel silenzio del bosco tanto che mi vennero le lacrime agli occhi. 

La lettera poi prosegue con il racconto di questa serata dove gli spettatori erano seduti su sedie di rocce e durante l’esecuzione venivano portate more, ciliegie, arance, gelati, vino e succhi di frutti di bosco; infine, quando divenne buio furono distribuite grandi fiaccole e lanterne per poter proseguire l’ascolto e il canto. Questo estratto però basta per dare l’idea del legame intrinseco tra la musica, la natura e l’immaginario dei compositori. 

Il movimento Ceciliano 

Il movimento ceciliano, così chiamato in onore di Santa Cecilia, patrona della musica, fu una risposta alla centenaria e quasi totale assenza del canto gregoriano e della polifonia rinascimentale dalle celebrazioni della liturgia cattolica, a favore di stili più simili alla musica operistica. 

Questo movimento, che si estende tra Italia, Francia e Germania tra il XIX e il XX secolo, è sicuramente riconducibile ai movimenti sopra descritte: sono molteplici le associazioni che in Germania si chiameranno Cacilienverein nel periodo esaminato. Questo è dato da una duplice motivazione. Infatti, come detto in precedenza, la musica corale ha una profonda matrice laica e democratica radicata nell’umanesimo della cultura tardo-settecentesca, quella appunto che alimenta l’aspetto più laico a seguito della Rivoluzione francese; essa però non cancella, anzi, alimenta a sua volta, quella nostalgia propria del romanticismo per la religiosità, vedendo quindi la musica come un’occasione di purificazione e trasfigurazione spirituale. Si può notare quindi come, in senso lato, rimanga sempre latente l’interesse e il riferimento all’ambito sacro, ambito dove è nata e cresciuta la prima forma di canto corale. 

Il modo in cui nel romanticismo ci si immaginava l’ideale della musica come “arte musicale sacra” fu descritto in modo molto accurato da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann nel suo saggio Alte und neue Kirchenmusik (Vecchia e nuova musica sacra) del 1814: 

«Purissima, santissima, quanto mai ecclesiale deve perciò essere la musica che scaturisce dall’intimo solo come espressione di quell’amore, senza tener conto di tutta la realtà profana e in spregio di essa. Così sono le opere semplici e dignitose di Palestrina, considerate il vertice della pietà e dell’amore, le quali proclamano il divino con potenza e maestà». 

L’obiettivo principale che si pose il movimento fu quello di riportare la musica liturgica cattolica alla bellezza e alla sobrietà raggiunta nel ‘500 con Palestrina, liberandola così dagli influssi melodrammatici dei secoli successivi. Non possiamo considerare pienamente raggiunto tale obiettivo: ci fu la creazione di un nuovo linguaggio ma, seppur ripulito del melodramma, rimase condizionato da una scrittura un po’ convenzionale. Questo nuovo stile riportò in auge il canto a cappella o con organo togliendo quindi l’accompagnamento strumentale nato e utilizzato nel periodo Barocco. 

È sicuramente un movimento che, partendo dall’aspetto musicale che ho evidenziato sopra in sintesi, invade anche quello liturgico poiché nato in un’ottica di riforma liturgica più generale. È anche per questo che non ritengo opportuno approfondire in questa sede un argomento così ampio che porterebbe anche ad affrontare un tema ancora dibattuto e controverso quale è l’attuazione del movimento ceciliano in liturgia. 

La sottolineatura che però vorrei fare è relativa all’idea di coralità, che è il filo rosso di questo articolo, che questo movimento ha favorito e ha portato avanti. È proprio quest’idea che a parer mio andrebbe ripresa per poter poi attuare ancora una volta, il rinnovamento della musica liturgica. 

I protagonisti del Movimento Ceciliano 

Tra i vari compositori che iniziarono a comporre musica secondo i nuovi canoni estetici troviamo grandi nomi quali Franz Liszt, Anton Bruckner, Johannes Brahms, Gabriel Faurè e Joseph Gabriel Rheinberger, che analizzeremo come caso studio nel prossimo capitolo. 

Senza addentrarci nello specifico dei vari nomi sopra elencati è interessante però porre l’attenzione su come ogni compositore declinò in base al suo stile e alla sua sensibilità i nuovi canoni senza però porre particolare attenzione, come invece fu nel passato per Palestrina, esclusivamente sulla musica liturgica.

Il Singbewegung e il Movimento Ceciliano: una riflessione personale

Prima di addentrarci nell’analisi del nostro caso studio, vorrei soffermarmi sull’esempio di coralità moderna fin qui esposto. 

In primo luogo, vorrei ribadire ancora una volta la similitudine tra i due movimenti; similitudine che è intrinseca nell’idea moderna della coralità. Una coralità aperta a chiunque voglia dilettarsi in questa pratica che divenne una nuova forma di aggregazione. Che sia essa svolta nelle chiese a supporto della liturgia o in ambito profano mantiene di fatto questo scopo. 

In secondo luogo, abbiamo il riferimento ad autori del passato come Palestrina, Bach e Haendel. Tralasciando Bach e Haendel, che influirono poco sullo stile del movimento ceciliano, Palestrina fu preso come esempio sia in ambito sacro sia in ambito profano per la sua severità di stile che conferisce alla musica sobrietà e purezza, esaltate sì dal movimento ceciliano come modello esclusivo ma non di meno prese in considerazione dalle nuove società corali che dovevano crearsi un nuovo e proprio repertorio. 

Infine, discostandoci dall’ambito prettamente musicale, è utile sottolineare come entrambi i movimenti abbiamo avuto un impatto sociologico. Se da un lato ci fu una progressiva emancipazione della donna, con la creazione di organici corali per sole voci femminili, dall’altro, nell’ambito liturgico, la riforma ceciliana portò sempre più alla creazione di corali parrocchiali, avvicinandosi così ai valori umanistici legati alla formazione dell’individuo e del popolo. 

Joseph Gabriel Rheinberger e il suo Stabat Mater: Un esempio dello stile ceciliano

“Il movimento ceciliano è davvero un ritorno alle origini?” E, andando più in profondità: “è davvero possibile un ritorno alle origini cancellando le esperienze successive?” 

Sono queste, credo, le domande da cui partire per analizzare le composizioni di questo movimento, togliendo così gli aspetti teorici-ideologici di partenza che, seppur importanti, possono distogliere l’attenzione dalle composizioni stesse. 

La scelta di Joseph Gabriel Rheinberger per questo studio è significativa almeno sotto tre aspetti: è vissuto nella seconda metà del XIX secolo, quando il mondo musicale è ormai nel periodo tardo-romantico; è un compositore di area tedesca ed è quindi venuto a contatto con l’ambiente delle società corali sopra descritto; è un compositore “ceciliano” quindi propenso all’utilizzo di uno stile più severo per quanto riguarda la musica liturgica. È quindi un caso studio interessante poiché abbraccia totalmente l’idea della coralità moderna qui presa in considerazione. Infine, è un compositore che solo negli ultimi decenni è tornato alla conoscenza della pratica e della ricerca musicale, motivo in più per prenderlo in considerazione. 

Cenni biografici 

Josef Gabriel Rheinberger, nato nel 1839 a Vaduz, nel Liechtenstein, e morto a Monaco di Baviera nel 1901, mostra fin da piccolo una musicalità eccezionale. Già all’età di sette anni suona l’organo durante le funzioni religiose e a dodici entra come studente nel Conservatorio di Monaco. Dimostrazione delle sue spiccate doti musicali fu la cattedra di pianoforte, organo e composizione che il conservatorio stesso gli offre a soli diciannove anni. 

Rheinberger, aveva come modelli Bach, Mozart e in generale tutto il classicismo. La sua mentalità aperta però, come vedremo in seguito, lo rese un musicista al passo coi tempi capace di rileggere in chiave contemporanea le regole a cui si rifaceva. 

Una nomina fondamentale per la sua carriera da musicista liturgico fu quella di direttore musicale di corte per il re Ludovico II di Baviera, iniziò così ad avere un ruolo importante nella musica della chiesa cattolica in Germania. Le sue Messe latine ma soprattutto i suoi mottetti lo resero un pioniere poiché si discostò dalle regole stabilite all’epoca dal movimento ceciliano pur mantenendone vivo lo spirito musicale. 

La vita musicale di Rheinberger si è sviluppata soprattutto nella quotidianità di didatta, compositore e organista, e pur senza promuoversi in prima persona, riuscì ad influenzare un’intera generazione di musicisti coltivando la propria identità. 

La produzione corale

All’interno della produzione di Rheinberger, troviamo un cospicuo numero di opere, sia liturgiche che secolari, per coro accompagnato o a cappella.1 

Per quanto riguarda il nostro ambito troviamo almeno undici Messe, risalenti al periodo della maturità. La prima, infatti, risale al 1878 mentre l’ultima al 1901, anno della sua morte; è presenti inoltre una Missa Brevis, Op. 83 che non è possibile datare e tre Missae da Requiem, Op. 60, Op. 84, Op. 194 non databili poiché le loro sezioni vennero composte in anni diversi e poi raccolte successivamente. Sia l’organico del coro che dell’eventuale accompagnamento è vario: esempio è la Missa in Nativitate Domini, Op. 126 (1881) che prevede l’accompagnamento di un quartetto d’archi e un flauto, la Missa in Es-Dur, Op. 155 (1888) che prevede un coro di sole voci femminili e la Cantus Missae per doppio coro, Op. 109 (1878) 

Abbiamo poi un primo Stabat Mater, Op. 16 (1864) dall’impostazione simile alla Cantata Sacra – un possibile riferimento a Bach che lui ha sempre avuto come modello – e un secondo Op. 138, (1884) per Coro, Organo e Orchestra di archi che è quello che noi prenderemo in esame. 

Infine, abbiamo alcuni mottetti e inni per coro a cappella. 

Da una prima analisi si può notare come, guardando esclusivamente gli organici delle varie opere liturgiche, ci sia un allargamento del canone del movimento ceciliano che prevedeva esclusivamente composizioni a cappella o accompagnato dall’organo. Rheinberger mette a frutto la propria spiritualità e la propria sensibilità di compositore, oltre alle esigenze dell’eventuale committente. 

I mottetti e gli inni 

La composizione di mottetti e inni ha accompagnato tutta la vita di Rheinberger, i primi infatti furono i Funf Motetten, Op. 40 (1864), tratti dai Salmi tradotti in tedesco, e gli ultimi i Neu Advent Motetten, Op. 176 (1893), mottetti in latino tratti da antifone di Avvento. 

La suddivisione tra Inni e Mottetti fatta da Rheinberger non è così chiara e precisa, neanche da un punto di vista compositivo: non abbiamo infatti differenze sostanziali che ci permettono di distinguere tra le due forme; è per questo che in questa sede li affronterò come un unico sottogenere. 

Queste composizioni sono forse quelle che si avvicinano maggiormente all’idea ceciliana prima esposta: la maggior parte è “a cappella”, o nel caso dell’Op. 118 con l’accompagnamento dell’organo – caso particolare anche perché questi inni non sono per coro ma per due voci soliste femminili –. Da un punto di vista compositivo invece non abbiamo un’aderenza fedele alle regole del contrappunto del passato: questo viene pressoché ridotto negli incipit di pochi episodi, favorendo invece un contrappunto più libero basato anche su una scelta armonica accurata e non lasciata in secondo piano rispetto alla linea delle singole voci. Molti, infatti, i momenti omoritmici dove sono le regole armoniche, e non quelle contrappuntistiche, che guidano. 

Come caso studio di queste composizioni esaminerò il Rorate Coeli, mottetto per coro misto composto nel 1893 e raccolto nei Neu Advent Motetten, Op. 176, espressione di uno stile maturo e libero da vincoli formali fini a loro stessi. 

L’incipit, affidato al Tenore, non ha nulla a che vedere col gregoriano di riferimento, prassi usuale invece nel contrappunto cinquecentesco. Inoltre, considerando l’ingresso delle varie voci, solo l’entrata del Soprano, che è all’ottava rispetto al Tenore, è riconducibile alle regole contrappuntistiche; l’ingresso del Contralto invece è particolare poiché omoritmico con il Soprano ma inverso, da un punto di vista melodico. Nell’incipit del tenore si nota anche come, a linea melodica discendente, ci sia un riferimento al testo di discesa: “Rorate coeli desuper”. 

Il movimento Ceciliano nel panorama del Singbewegung

Dopo un primo momento (batt. 1-10) sulle paroleet nubes pluant justum; aperiatur terra et germinet Salvatorem si apre un secondo episodio (batt. 10-29), questa volta omoritmico, dove la particolarità è data dall’aspetto dinamico, poco presente nel Cinquecento, combinato a quello armonico. Questo frammento viene poi ampliato per arrivare al punto culminante di batt. 27, su un accordo di settima di dominante, scelta armonica evidentemente lontana dallo stile della polifonia rinascimentale. Il terzo episodio si collega al secondo sfruttando un gioco di incastri del Basso che ricorda i collegamenti usati nel Cinquecento tra una frase e quella successiva. 

Il movimento Ceciliano nel panorama del Singbewegung

In questo terzo ed ultimo episodio viene riproposto, nelle prime battute, l’incipit del mottetto che però prende subito una strada armonica diversa, come fosse una ripresa variata. Anche in questa ultima parte troviamo il punto culminante su Salvatorem (batt. 43) come già in precedenza, dimostrando così la volontà del compositore di sottolineare il testo attraverso la melodia; la parola viene inoltre evidenziata da un ampio accordo di settima di dominante, con la funzione di preparare la cadenza conclusiva. 

Il movimento Ceciliano nel panorama del Singbewegung

Questa stretta relazione tra musica e testo è forse il rimando al passato e al movimento ceciliano più evidente e riscontrabile anche al solo ascolto. La scrittura di Rheinberger concilia la musica del passato con quella presente, allontanandosi dagli sfarzi e dagli orpelli del barocco e del melodramma, mantenendo comunque un riferimento, soprattutto armonico, a questi generi. 

Lo Stabat Mater 

Lo Stabat Mater di cui ci occuperemo brevemente è l’Op. 138 del 1884 per Coro, Organo e Orchestra d’archi. L’opera è divisa in quattro parti, corrispondente ognuna ad alcune strofe della sequenza, musicalmente trattate in modo differente ma con richiami melodici tra le varie parti. Di seguito la divisione delle strofe. 

Parte 

Testo 

Traduzione 

1 

Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius. Cuius ánimam geméntem,
contristátam et doléntem
pertransívit gládius. O quam tristis et afflícta
fuit illa benedícta
Mater Unigéniti! 

Quae maerébat et dolébat,
Pia Mater dum videbat
nati poenas íncliti. 

Addolorata, in pianto
la Madre sta presso la Croce
da cui pende il Figlio. Immersa in angoscia mortale
geme nell’intimo del cuore
trafitto da spada. Quanto grande è il dolore
della benedetta fra le donne,
Madre dell’Unigenito! 

Piange la Madre pietosa
contemplando le piaghe
del divino suo Figlio. 

2 

Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si vidéret
in tanto supplício? Quis non posset contristári,
Christi Matrem contemplári
doléntem cum Filio? Pro peccátis suae gentis
vidit Jesum in torméntis
et flagéllis sùbditum. 

Vidit suum dulcem natum
moriéndo desolátum,
dum emísit spíritum. 

Chi può trattenersi dal pianto
davanti alla Madre di Cristo
in tanto tormento? Chi può non provare dolore
davanti alla Madre
che porta la morte del Figlio? Per i peccati del popolo suo
ella vede Gesù nei tormenti
del duro supplizio. 

Per noi ella vede morire
il dolce suo Figlio,
solo, nell’ultima ora. 

3 

Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam. Fac, ut árdeat cor meum
in amándo Christum Deum,
ut sibi compláceam. Sancta Mater, istud agas,
crucifíxi fige plagas
cordi meo válide. 

Tui Nati vulneráti,
tam dignáti pro me pati,
poenas mecum dívide. 

Fac me tecum pìe flere,
Crucifíxo condolére
donec ego víxero. 

Iuxta crucem tecum stare,
Et me tibi sociáre
in planctu desídero. 

Madre, sorgente di amore,
fa’ ch’io viva il tuo martirio,
fa’ ch’io pianga le tue lacrime. Fa’ che arda il mio cuore
nell’amare il Cristo-Dio,
per essergli gradito. Ti prego, Madre santa:
siano impresse nel mio cuore
le piaghe del tuo Figlio. 

Uniscimi al tuo dolore
per il Figlio tuo divino
che per me ha voluto patire. 

Con te lascia ch’io pianga
il Cristo crocifisso
finché avrò vita. 

Restarti sempre vicino
piangendo sotto la croce:
questo desidero. 

4 

Virgo vírginum praeclára,
mihi iam non sis amára,
fac me tecum plángere. Fac, ut portem Christi mortem,
passiónis fac consòrtem
et plagas recólere. Fac me plagis vulnerári,
cruce hac inebriári
et cruòre Fílii. 

Flammis ne urar succènsus,
per te, Virgo, sim defénsus
in die iudícii. 

Christe, cum sit hinc exíre,
da per Matrem me veníre
ad palmam victóriæ. 

Quando corpus moriétur,
fac, ut ánimae donétur
paradísi glória. 

O Vergine santa tra le vergini,
non respingere la mia preghiera,
e accogli il mio pianto di figlio. Fammi portare la morte di Cristo,
partecipare ai suoi patimenti,
adorare le sue piaghe sante. Ferisci il mio cuore con le sue ferite,
stringimi alla sua croce,
inèbriami del suo sangue. 

Nel suo ritorno glorioso
rimani, o Madre, al mio fianco,
salvami dall’eterno abbandono. 

Cristo, nell’ora del mio passaggio
fa’ che, per mano a tua Madre,
io giunga alla mèta gloriosa. 

Quando la morte dissolve il mio corpo
aprimi, Signore, le porte del cielo,
accoglimi nel tuo regno di gloria. 

Lo stile compositivo è vario ed è in alcuni momenti condizionato da una drammaticità melodrammatica, uno stile però “purificato” da Rheinberger per rendere in modo austero e solenne le immagini narrate dal testo. Si va quindi da un inizio ieratico affidato alle sole voci maschili all’unisono con gli strumenti – “Stabat mater dolorosa”, quasi ad indicare la fermezza della Madre sotto la croce – a una conclusione trionfale affidata a una fuga a 4 voci, sicuramente riconducibile come idea allo stile Barocco; Il terzo episodio è invece affidato a un tempo di “barcarola”, caratteristica molto usata anche nell’ambito profano. 

L’aspetto agogico e dinamico è molto preciso: oltre alle indicazioni di tempo iniziali di ogni episodio, all’interno si hanno segni di dinamica e agogica volti a rendere ancor più intenso il testo cantato, diremmo noi oggi a costruire il “pathos” nell’ascoltatore. 

L’organico infine risulta inusuale per i canoni del movimento ceciliano vista la presenza di un quartetto d’archi oltre all’organo. 

Questi elementi rendono quindi Rheinberger un compositore non veramente ceciliano? La presenza di alcuni elementi profani nella musica sacra rende la musica inadatta per la liturgia? Sicuramente, il fatto che lo Stabat Mater non sia un testo liturgico, ma attribuito alla devozione popolare, può essere una valida motivazione per l’utilizzo di una scrittura più varia e libera. 

Dal mio punto di vista però Rheinberger è un compositore ceciliano a tutto tondo, poiché riesce ad incarnare la spiritualità e la profondità della fede cattolica e ad avvicinare a quella trasfigurazione spirituale espressa nell’idea della coralità moderna tedesca. Riesce anche a conciliare il nuovo gusto musicale con la necessità di una espressione piena e significativa; per riassumere si potrebbe dire che nulla è lasciato al caso e nessuna decisione è giusta o sbagliata a priori. 

Conclusioni 

Al giorno d’oggi, quando la coralità vive un momento non facile, quando il movimento ceciliano non influisce più sulla musica liturgica, come si possono far rivivere queste idee contestualizzandole nel qui e ora e non semplicemente osservandole nel passato? 

Credo sia questo la sfida principale che si possa ricavare da questo articolo. Riuscire a dare uno slancio nuovo alla coralità partendo da ciò che abbiamo ricevuto da chi ci ha preceduto. 

In primo luogo, sarebbe utile un approfondimento storico e musicologico sul tema della coralità tedesca e su come abbia influito sulla coralità europea. 

Da un punto di vista pratico bisognerebbe partire dall’educazione e dall’istruzione alla base di questo tipo di coralità. Una formazione diffusa e di buona qualità, infatti, è la base per poter creare uno spirito critico capace di distinguere la qualità delle proposte musicale. 

Un altro aspetto, non secondario, è la presa di posizione riguardo la musica del passato: a parer mio, il rifiuto di ciò che la storia ci ha consegnato sarebbe del tutto sbagliato. Un ritorno a quello che era lo stile del contrappunto cinquecentesco sarebbe ormai fuori dal tempo e fuori luogo. Ciò che servirebbe è un’importante innovazione del linguaggio musicale senza per questo smarrire gli insegnamenti del passato. Rheinberger è davvero da seguire come esempio: ha saputo fare suoi i principi cardini del movimento corale, fonderli al movimento ceciliano riuscendo però a creare una musica nuova, una musica che contenesse il gusto musicale contemporaneo.