Raffaele Manari: organista, compositore e didatta
Novembre 21, 2022 2022-11-10 12:05Raffaele Manari: organista, compositore e didatta
Un punto di riferimento per la storia organistica italiana del XX secolo
Un personaggio di cui bisognerebbe ripercorrere le orme lasciate nell’impervia storia organistica italiana è senza dubbio Raffaele Manari (1887-1933).
Il nome di Raffaele Manari è legato ad un passato dimenticato, che solo negli ultimi anni sta giustamente (e con validissime ragioni) ritornando all’attenzione di organisti e organari italiani. Quale contributo può offrire il pensiero del Manari a studenti di organo, organisti, organari e appassionati di musica organistica?
Potremmo dire innazitutto che la più importante lezione è considerare l’organo a canne come strumento musicale immerso nel dinamismo storico, non un fossile o un semplice reperto museale che ha valore solo in relazione alla sua antichità, ma uno strumento creato per essere a servizio dell’arte musicale.
Certamente il carattere storico lega in modo stretto composizioni del passato a strumenti che in quel determinato passato sono stati costruiti. Tuttavia, il valore storico, in base al pensiero di Raffaele Manari, non è assoluto ma sempre subordinato all’arte musicale. La musica in quanto tale non ha un confine storico definito, l’arte in generale non assume valore in riferimento alla sua collocazione storica. L’essenza della musica è il punto di riferimento per capire la sua proiezione al di fuori dallo stretto confine della data di nascita e di morte del suo compositore e dallo strumento che egli utilizzava.
Chi era Raffaele Manari?
Il 27 dicembre 2015 il Comune di Carsoli (in Abruzzo, provincia dell’Aquila) ha ricordato un suo cittadino illustre apponendo una targa in sua memoria. La targa è visibile in una piazzetta laterale di Via Roma e su di essa leggiamo:
“Piazzetta Mons. Raffaele Manari. Compositore di musica organistica (1887-1933)”

Raffaele Manari nacque a Carsoli il 21 aprile 1887. Dopo essere stato ordinato sacerdote proseguì gli studi ecclesiastici presso l’Università Gregoriana di Roma. Agli inizi del XX secolo ebbe modo di vivere in prima persona il contesto in cui Papa Pio X promulgò il motu proprio Inter pastoralis officii sollicitudines (1903) riguardante la musica nella liturgica.
Sempre a Roma conobbe l’organista Raffele Casimiri, nominato nel 1911 maestro di Cappella presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, con il quale iniziò lo studio dell’organo; successivamente Manari frequentò l’Accademia di Santa Cecilia nella classe di organo di Remigio Renzi (organista di San Pietro in Vaticano dal 1883 al 1938) e nel 1914 si diplomò in organo e composizione organistica. Nel 1920 venne nominato organista di San Giovanni in Laterano (dove precedentemente era stato organista Filippo Capocci, altro importante compositore italiano di musica per organo) e lì suonò fino a pochi giorni prima della morte, avvenuta il 21 aprile 1933.

Una parte importante della sua vita è sicuramente quella trascorsa come docente di organo presso la Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra (l’odierno PIMS). Tra i suoi allievi possiamo ricordare Ferruccio Vignanelli, Fernando Germani, Remo Volpi, Alessandro santini, Alberto Camilloni i quali, pur con sensibilità artistiche differenti, appresero pienamente il suo insegnamento organistico, non solo tecnico-musicale, ma anche interpretativo, caratterizzato da una riflessione storica sulle varie scuole organistiche europee. Ricordiamo che l’organo monumentale costruito dalla Ditta Mascioni di Cuvio fu da lui progettato e inaugurato. Per quell’occasione scrisse ed eseguì anche uno Scherzo per organo.

Raffaele Manari: le 4 grandi composizioni organistiche
Sebbene Raffaele Manari fosse molto attivo come organista concertista e didatta, dal punto di vista della composizione per organo ci ha lasciato solo quattro brani.
I titoli di queste opere sono: Fantasia siciliana, Studio da concerto sulla “Salve Regina”, Leggenda e Scherzo. La destinazione d’uso di questi brani non è ovviamente la liturgia, ma l’ambito concertistico; in Italia questo tipo di composizioni “di carattere” videro la luce alla fine del XIX secolo con alcuni grandi nomi (Marco Enrico Bossi, Oreste Ravanello, Arnaldo Galliera). Oltre a segnare uno stile ed un gusto musicale nuovi e tipici del linguaggio personale del compositore, questi brani mettevano in luce l’abilità tecnica dell’organista esecutore.
Il virtuosismo nell’uso della pedaliera è visibile nello Studio da concerto sulla “Salve Regina”, composto nel 1927 e dedicato a Fernando Germani. Certamente Manari prese ispirazione dal brano di Marco Enrico Bossi Etude Symnphonique Op. 78, che era stato scritto nel 1891 e nel panorama organistico italiano dell’epoca rimaneva la più eseguita composizione caratterizzata da livelli di elevata difficoltà della tecnica per pedale (ricordiamo anche la Toccata di Concerto sempre di Marco Enrico Bossi, altrettanto virtuosistica, ma meno conosciuta).
Vediamo alcuni dettagli dello Studio da Concerto sulla “Salve Regina” (tono solenne).
Il brano, nella tonalità di MI minore, si apre con una parte per pedale e, dopo aver accennato le prime note della Salve regina, si lancia subito in passaggi virtuosistici che mettono a prova l’abilità tecnica dell’esecutore.
Dopo questa breve, ma non semplice introduzione, inizia una vera sfida tra l’organista e lo strumento. Il tema è eseguito al manuale, mentre la parte di pedale consiste in veloci passaggi di sedicesimi (poi terzine) da eseguirsi con punte e talloni per permettere la fluidità legata di questa linea melodica.
Degna di nota è la cadenza centrale, prima per pedale solo, poi per pedale doppio.
Dopo una ripresa nella tonalità di MI minore, il brano si conclude nella luminosa tonalità di MI maggiore, dove la parte di pedale si lancia per l’ultima volta in una cascata dirompente di note.
Consigliamo la visione dell’esecuzione dell’organista Monica Czausz all’organo Fisk-Rosales della “Edythe Bates Old Recital Hall of Rice University” a Houston, Texas.
Raffaele Manari: Concert Etude on “Salve Regina” – YouTube
Un altro brano molto particolare di Raffaele Manari è la Fantasia Siciliana, espressamente composta per l’inaugurazione dell’organo del Duomo di Messina: si tratta di una pagina sinfonica che si può annoverare nell’ambito della musica descrittiva.
Il legame tra Raffaele Manari e la Sicilia risale agli anni dell’infanzia, quando vi soggiornò per un breve periodo, per poi fare ritorno in età adulta a Messina in occasione della progettazione e costruzione del nuovo organo della ditta Tamburini.
Tutte le vicende che narrano il rapporto tra Manari e l’organo monumentale del Duomo di Messina sono documentate in molteplici lettere dell’epoca (dal 1927 al 1930) tra Mons. Angelo Paino Arcivescovo di Messina, il Cav. Giovanni Tamburini e lo stesso Manari, che fu il principale consulente per la progettazione. Ricordiamo che questo strumento costruito dalla Ditta Tamburini di Crema possedeva 127 registri e una consolle a cinque manuali: all’epoca era il più grande organo d’Italia.

Una dettagliata descrizione della Fantasia Siciliana è riportata nel programma del concerto inaugurale tenuto da Manari il 14 agosto 1930 alle ore 17.00.
I temi principali del brano sono tratti da alcune melodie popolari siciliane. Il preludio è basato sul tema dei marinai (Sciacca), impetuoso e magniloquente; segue un Allegro che cita il tema dei villici (Palermo), poi un movimento pastorale ove appare a conclusione il tema dell’Epifania (Parco). Dopo una parentesi lirica sopraggiunge una fanfara, evocazione di una festa campestre; la fantasia si conclude con una rievocazione del primo tema con slancio trionfale.
Consigliamo l’ascolto della Fantasia Siciliana nell’interpretazione di Benedetta Porcedda all’organo Mascioni del Santuario Madonna della Bozzola di Garlasco.
Raffaele Manari – Fantasia Siciliana – YouTube
Raffaele Manari: le lezioni al Pontificio Istituito di Musica Sacra del 1931
Elemento fondamentale per capire la situazione dell’arte organistica e organaria in Italia nella prima metà del XX secolo (e di conseguenza nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale) sono le lezioni tenute da Raffaele Manari, durante l’anno accademico 1931, presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.
Ricordiamo che l’odierno PIMS fu fondato da San Pio X nel 1910 con il nome di “Scuola Superiore di Musica Sacra”. La scuola fu inaugurata il 3 gennaio 1911, successivamente con un rescritto della Segreteria di Stato del 10 luglio 1914 la Scuola fu dichiarata Pontificia e fu abilitata al rilascio di titoli accademici. In principio Benedetto XV assegnò alla scuola come sede il palazzo di Sant’Apollinare, trasferendola da via del Mascherone (16 ottobre 1914). Pio XI, con il motu proprio Ad musicæ sacræ restitutionem (22 novembre 1922) concesse gli statuti, confermando la diretta dipendenza dalla Sede Apostolica. Con la costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus (24 maggio 1931), la Scuola – denominata Pontificio Istituto di Musica Sacra – è stata inclusa tra le università e facoltà pontificie.
Le lezioni tenute da Raffaele Manari nel 1931 sono raccolte in una pubblicazione curata da Arturo Sacchetti, edita da Edizioni Carrara nel 1999.
Entriamo subito nel merito del discorso citando una frase contenuta nell’INTRODUZIONE di Manari alle sue lezioni:
“Le presenti lezioni si intitolano ARTE DELLA REGISTRAZIONI e non SCIENZA… l’arte rimane sempre arte: tutto ciò non rappresenta altro che il substrato materiale per penetrare con piena cognizione e sicurezza nello spirito della registrazione (organistica). Al gusto e al senso musicale tocca poi l’ultima parola… Alcuni vedono nella registrazione una serie di ricette: ma, dato e non concesso che ciò sia vero, le ricette variano da malato a malato e da medico a medico. Così è la registrazione. Gli organi cambiano, le sonorità non sono le stesse, i pezzi sono diversi, e la ricetta, se esiste, deve subire infinite variazioni. Ci sembra invece più logico conoscere e stabilire i criteri sui quali si basano le registrazioni con le relative ed innumerevoli combinazioni”
Ecco l’essenza del pensiero di Manari: conoscere e stabilire dei criteri alla luce del substrato storico che è giunto fino ai giorni nostri in materia organistica e organaria.
Prosegue inoltre: “Noi non faremo la storia per la storia… a puro scopo scientifico (classificatorio). Il nostro intento sarà quello di offrire i mezzi per giungere a conclusioni eminentemente pratiche fondate su sani principi artistici e non cervellotiche supposizioni o intuizioni”
Quindi il dato storico va considerato come lanterna che illumina la via delle scelte pratiche e non come idolo da venerare al di fuori dal contesto pratico-musicale.
Nella successiva PREMESSA, l’autore espone il piano dell’opera. Dopo aver detto che i fattori principali sono il Fraseggio e la Registrazione, si sottolineano due necessità:
- La conoscenza delle caratteristiche foniche degli organi antichi e moderni
- La volontà dell’autore espressa con speciali indicazioni o sottintesa e dedotta dalle norme generali (consuetudine e prassi storicamente informata)
Queste lezioni sono divise in quattro parti:
- Composizioni di organi antichi e moderni e loro caratteristiche doti di sonorità
- Norme di registrazione antiche e moderne
- Come si registravano le composizioni antiche
- Come oggi si devono registrare le composizioni antiche e moderne
Dopo aver illustrato nei primi capitoli le varie scuole organarie europee (in particolare italiana, francese, tedesca) dal XVI al XX secolo alla luce dei trattati dell’epoca e di precise indicazioni storiche, si giunge al capitolo senza dubbio più interessante, il quarto: Come oggi si devono registrare le composizioni antiche e moderne.
Manari sostiene che nella scelta dei registri bisogna distinguere due aspetti:
- La qualità o tipo sia generale che particolare
- La funzione specifica nell’esposizione e nello svolgimento del pezzo, funzione cioè fondamentale o accessoria.
Ciò significa che dal carattere o stile del pezzo deve scaturire la qualità o tipo di registrazione generale. Nello svolgimento del pezzo, a seconda dei casi, possono esserci variazioni di registrazioni che devono avere una valida giustificazione.
Certamente un cambio di registrazione deve essere sempre coerente con la struttura compositiva del pezzo, e possibilmente deve tenere conto della volontà del compositore. Questo è un tema molto delicato, in quanto l’immensa varietà di strumenti può favorire in maniera più ampia (o più ristretta) un cambio di registrazione.
In questo caso occorre un’azione di sintesi tra: volontà del compositore, prassi esecutiva storica, strumento su cui l’esecutore si trova concretamente a suonare, intelligenza musicale dell’esecutore (il solo gusto forse non è sufficiente).
Ecco tre principi fondamentali che devono illuminare le scelte della registrazione:
- Conoscere la registrazione indicata o sottintesa dall’autore e ricavata dal contenuto musicale della composizione
- Se l’organo si presta, riprodurre questa registrazione seguendo i principi esposti
- Se l’organo non si presta, cercare di avvicinarsi il più possibile alle indicazioni espresse, sottintese o dedotte.
Molto interessante il ragionamento contenuto nel paragrafo DIFFICOLTÁ, in cui si rammenta che ogni composizione deve essere presentata secondo la sua originaria concezione artistica. Giustamente Manari scrive che “gli autori antichi avevano gli organi adatti alla loro musica, allo stesso modo che nell’epoca moderna si sono fatti strumenti adatti alla musica moderna rigettando quella antica…”. Seguono poi una serie di raffinate domande retoriche rivolte al lettore, tra cui: “Voi considerate la musica come un puro agglomerato di note da consegnare allo strumentatore d’orchestra o a quello di banda o anche ad un organista qualunque? Non neghiamo che questo sia uno dei tanti modi col quale procedere: ma è il più artistico? È quello che risponde alle più nobili ed elevate concezioni estetiche? Se siete compositore, se capite il processo della composizione, non potete affermarlo”.
Al giorno d’oggi il pensiero critico di Manari dovrebbe guidare le mani (ma soprattutto le menti) degli organisti che, a parere dello scrivente, a volte non riescono a trovare un valido compromesso tra rispetto della prassi esecutiva storica e libertà artistica vissuta nella modernità.