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Peccantem me quotidie: l’angoscia attraverso la modalità

Peccantem me quotidie
Alunni

Peccantem me quotidie: l’angoscia attraverso la modalità

Peccantem me quotidie è un mottetto sacro a cinque voci (Cantus, Altus, Tenor, Quintus e Bassus), composto da Giovanni Pierluigi da Palestrina e tratto dal Motettorum liber secundus, edito da Girolamo Scotto nel 1572 a Venezia (Giovanni Pierluigi da Palestrina, elenco delle composizioni. Url: Palestrina – catalogo pagina 1 

 

Il testo 

Latino  Italiano 
Peccantem me quotidie, 

Et non me poenitentem, 

Timor mortis conturbat me: 

Quia in inferno nulla est redemptio, 

Miserere mei Deus, et salva me. 

Il timore della morte turba me 

Che pecco ogni giorno e non mi pento 

Poiché all’inferno non c’è alcuna redenzione, 

Abbi pietà di me, Signore, e salvami. 

 

Il testo è tratto dal responsorio gregoriano collocato nel terzo Notturno dell’Ufficio dei Defunti, dopo la settima lettura. 

Il testo, dal punto di vista retorico, si può agevolmente dividere come segue: l’exordium corrisponde al primo verso, il finis coincide con l’ultimo verso e i restanti versi costituiscono il medium. 

 Con l’avvento del Romanticismo e il rinnovato interesse per il repertorio musicale medievale e rinascimentale, vennero riscoperti diversi testi sacri. In questo contesto storico-musicale, come testimoniato anche dal biografo palestriniano Giuseppe Baini nelle sue “Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Palestrina” (1828), il mottetto  Peccantem me quotidie di Palestrina ricevette critiche positive per il suo pathos intrinseco, tanto da essere utilizzato da Gabriele D’Annunzio per tratteggiare l’angoscia di Amfortas, personaggio del Parsifal di Wagner, con queste parole: “Tutta l’angoscia di Amfortas è in un mottetto che io conosco Peccantem me Quotidie” […] Tutte le forze della tragedia vi sono quasi direi sublimate come gli istinti d’una multitudine in un cuore eroico”. Successivamente, ritroviamo la citazione di tale mottetto, sempre da parte dello stesso D’Annunzio, in un passo autobiografico del “Libro Segreto”, in cui ricorda un episodio accaduto in gioventù nella chiesa di S. Maria della Vita, a Bologna dove leggiamo, in riferimento all’esecuzione organistica di tale mottetto: “Ero divenuto come strumento nelle mani del musico invisibile. Ero come se il Palestrina prendesse in me la mia angoscia mortale…”. (cfr. Il Palestrina che incantò il Vate, “Peccantem me quotidie” è sublime, di Marco Della Sciucca) 

 

La musica 

La modalità 

Il mottetto è composto in deuterus autentico e ciò si desume dai seguenti elementi: 

  • L’incipit musicale del Cantus, imitato dal Tenore, partendo dalla finalis mi, si sviluppa toccando le tre repercussio possibili del III modo (la, si, do):  

 

  • Le cadenze intermedie sono tutte situate su suoni importanti per la scala di deuterus (mi, la, do), eccezion fatta per la sezione compresa tra le battute 30-40. Di seguito l’elenco dettagliato di tutte le cadenze:  
Cadenze  Battute 
Mi (plagale)  5a 
La   8b 
La   11b 
Do   15a 
La   24a 
La   27a 
La (evitata)  28b 
Mi   29a 
Fa (peregrina)  31a 
Fa (peregrina plagale)  33a 
Mi   35b 
Mi (peregrina)  40a 
Sol  41b 
La  47a 
La  50a 
La   55b 
Do  60a 
La  64a 
La   68b 
La  71a 
Mi (evitata)  74a 
Mi  76a 

 

  • La cadenza finale (batt. 75-76), nella quale si rilevano la clausula basizans di tipo plagale al Bassus (la-mi), la clausula altizans al Quintus, la clausula tenorizans al Cantus e al Tenor che conclude con la terza piccarda. Essa è preceduta da una cadenza evitata a mi (batt. 74 a) dove si rileva la clausula altizans all’Altus che prepara il pedale sulla finalis mi.   

 

  • Dall’estensione delle voci governanti, cioè il Cantus, il Tenor e il Quintus, si evince infine il modo di appartenenza, permettendo altresì di distinguere tra autentico e plagale: l’estensione delle tre voci, infatti, classifica il mottetto nel modo autentico poiché il Cantus ha come estensione Do3-Mi4, il Tenor Do2-Mi3 e il Quintus Do2-Mi3, che corrispondono all’estensione del modo di deuterus autentico, con l’aggiunta di due suoni al di sotto della finalis. 

 

Metalepsis: da Palestrina a Beethoven 

Analizzando l’incipit del mottetto si osserva come esordisca presentando un nucleo melodico che si potrebbe definire “primordiale”, costituito da un salto ascendente seguito da un grado discendente, dal quale Palestrina parte per poi sviluppare la composizione.  

La voce del Cantus propone anzitutto la sua linea melodica, che costituisce la prima idea musicale, sul materiale del nucleo primordiale, per poi svilupparsi in maniera più articolata: infatti, l’attenzione è da porsi sui tipi di intervalli che vengono utilizzati da Palestrina, in particolare a batt. 3 – 4 il semitono discendente (pathopoeia) e l’intervallo duriusculo, cioè dissonante, di quarta diminuita sol# – do sono utilizzati a fini espressivi per sottolineare il concetto di peccato quotidiano espresso dal testo nelle battute iniziali:  

Il Tenor propone il suo incipit in polyptoton (imitazione a distanza di ottava) con il Cantus:  

La seconda idea musicale viene proposta dall’Altus a batt. 2:  

e in polyptoton dal Bassus a batt. 4:  

 

Anche la seconda idea musicale inizia con un salto ascendente, che stavolta è di quinta, al quale seguono note ribattute e un intervallo di semitono ascendente; è interessante notare che sia nella prima che nella seconda idea il semitono è posto in corrispondenza della sillaba accentata della parola quotidie. 

La voce del Quintus è la prima ad entrare ed espone consecutivamente il nucleo primordiale per due volte. È da sottolineare come questa voce, non essendo in imitazione con le altre, funga da riempitivo, ma, nonostante ciò, ad essa venga affidato il compito di incominciare il mottetto. Inoltre, la ripetizione dello stesso nucleo musicale sulle parole Peccantem me quotidie sembra voler mettere in evidenza il significato letterale del testo, ponendo in luce la reiterazione dei peccati. 

 

Come si è visto, da un nucleo primordiale di tre note (la do, si) Palestrina sviluppa le linee melodiche del mottetto e questo è da evidenziare anche nel corso della composizione per i versi successivi.  

Il secondo verso sulle parole et non me poenitentem, è presentato a partire da batt. 14, all’Altus e successivamente al Quintus (batt. 15), Cantus (batt. 16), Tenor (batt.17) e infine al Bassus (batt. 18) e si sviluppa sulla struttura della prima idea musicale, ossia un salto ascendente seguito da un grado discendente; a seconda dei casi il salto può essere di terza, quarta, quinta o addirittura di sesta minore (exclamatio), come nella voce del Quintus a batt. 23-24, per sottolineare retoricamente il concetto di non pentirsi per i peccati commessi. 

  

In corrispondenza delle parole me poenitentem, il movimento discendente della linea melodica sembra quasi voler imitare il gesto di chinare il capo, in segno di penitenza per i peccati quotidiani. 

Palestrina, dunque, da un’idea musicale essenziale riesce a sviluppare un discorso contrappuntistico ed espressivo molto profondo, in linea con il carattere ricco di pathos del testo sacro. Questo modus operandi di sviluppo tematico verrà utilizzato nei secoli successivi da vari compositori, fra i quali Beethoven, che in maniera sublime costruirà la struttura delle sue composizioni partendo da nuclei tematici sempre più ridotti.  

Un esempio è nella Sonata per pianoforte intitolata “Das Lebewohl” op. 81a, in mi bemolle maggiore, dove le tre note discendenti iniziali presenti all’inizio dell’introduzione del primo movimento fungono da cellula generatrice per tutti i temi della Sonata. 

 

Turbamenti… modali 

Arrivati in corrispondenza del terzo verso, la composizione cambia improvvisamente carattere, caricandosi di un senso drammatico ancora inesplorato fino ad ora: infatti, aderendo alle parole timor mortis conturbat me, Palestrina utilizza diverse tecniche compositive per portare l’ascoltatore a percepire, anche interiormente, la cupezza della morte: 

  • Prima della paura timor (batt. 29), una pausa in tutte le voci a esclusione del Quintus, detta aposiopesis, crea una netta cesura tra la cadenza precedente e la sezione successiva: 

  • Il cromatismo al Cantus (sol diesis-sol bequadro) (batt.30), conduce il discorso attraverso un repentino cambio di modo (da deuterus a tritus) e, unito ad un ritmo sillabico aggravato e all’utilizzo del noema, sottolinea la parola timor alla quale segue una cadenza plagale peregrina a fa sulla parola mortis (batt. 33). Questo causa nell’ascoltatore un senso di smarrimento modale che il compositore utilizza volontariamente per sottolineare la paura della morte: 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • A suggellare questo clima modale apparentemente “incerto”, Palestrina introduce al Tenor un passus duriusculus sulla parola conturbat me (batt. 32-33) formato dalle note si bemolle, la e sol diesis, in gymel con l’Altus; in questo modo viene messo in luce il timore che la morte suscita nell’essere umano. 

Questo episodio, dopo una serie di giochi imitativi delle voci, si conclude nell’incertezza con una cadenza peregrina a mi (batt. 39-40): 

Una cadenza a mi in modo deuterus non sarebbe da considerarsi peregrina, però in questo caso l’autore utilizza in via del tutto eccezionale il re diesis al Cantus nella clausula cantizans e il fa diesis al Quintus nella clausula tenorizans; in questo modo la cadenza a mi, che di per sé sarebbe di tipo “cadenza frigia”, diventa somigliante alla cadenza sul re tipica dei modi di protus, tritus e tetrardus, il che contribuisce a creare ulteriore incertezza modale.  

 

Catabasi all’inferno 

Il verso seguente conduce le voci di Cantus, Quintus e Bassus al loro punto più grave in corrispondenza della parola inferno (batt. 43-44) attraverso una catabasi, una figura discendente che in questo caso viene utilizzata per indicare la discesa agli inferi:  

Essa viene riproposta anche nella seconda parte dello stesso verso nelle voci di Cantus e Altus sulle parole nulla est redemptio (batt. 47-50): 

Da sottolineare come per creare il senso di nulla descritto dal testo, Palestrina riduca il numero di voci utilizzando solo le tre più gravi (batt. 45-46), ottenendo un suono dal colore scuro.  

A conclusione della sezione troviamo l’unica anabasi di tutta la sezione, in corrispondenza dell’ultimo redemptio (batt. 53-54) nella voce del Cantus, a sottolineare come la speranza per la redenzione si trovi solo nell’alto dei Cieli: 

 

Miserere mei 

Il finis, basato sull’ultimo verso del testo, comincia a batt. 56 dopo una netta cesura con l’episodio precedente e ripropone il tempo primo sillabico aggravato unito all’utilizzo del noema, per enfatizzare la richiesta di perdono del peccatore: inoltre, sulle parole misere mei la catabasi di ottava (mi4-mi5) del Cantus utilizza due tetracordi frigi discendenti consecutivi (batt.56-57): 

Il tetracordo frigio discendente è una figura retorica sovente utilizzata dagli autori del Cinquecento come metafora del pianto, come ben visibile, per citare solo un esempio tra i moltissimi, anche nel madrigale del 1587 Ardo sì, ma non t’amo, di Claudio Monteverdi, alle batt. 12-14 alla voce del Cantus: 

 

 

La supplica del peccatore che chiede perdono a Dio, musicalmente viene riproposta per l’ultima volta nelle battute 63-67 con l’utilizzo delle medesime figure retoriche viste precedentemente alle quali si aggiunge l’hyperbole all’Altus (la4 a batt. 64): questa nota, letta nella chiave originale, è infatti collocata sopra al rigo musicale e in questo caso è particolarmente evidente perché si trova dopo un salto ascendente di ottava che crea anche un incrocio delle due voci superiori (Cantus e Altus) a batt. 64-65, conferendo quindi all’intero episodio una grande tensione patetica prima che la stessa si esaurisca per la conclusione del brano. 

 

Conclusione 

Come emerso dall’analisi, questo mottetto, attraverso l’utilizzo di numerose figure retoriche e della modalità a fini espressivi, riesce a trasmettere con semplicità il senso di angoscia e turbamento del fedele cristiano nei confronti del timor mortis, pur in stretta osservanza delle linee guida del Concilio di Trento in materia di musica sacra: infatti, senza “clamori eccessivi” (Concilio di Trento, Sessione XXII, Capitolo V, del “Decretum de observandis et evitandis in celebratione Missae” del 17 settembre 1562), attraverso l’utilizzo di una polifonia sobria ed equilibrata e l’utilizzo di pochi melismi, l’intellegibilità del testo sacro viene salvaguardata, senza che questo significhi, però, mancanza di espressività emotiva, garantita invece dalla maestria compositiva di Giovanni Pierluigi da Palestrina.